The Rules of Game
Quando una persona viene ricoverata per overdose, se la causa dell’overdose stessa non è chiara – e vi assicuro che raramente lo è – l’ospedale è obbligato legalmente a trattenere il paziente e a sottoporlo ad un esame psichiatrico. Anche contro la sua volontà.
L’esaminatore dispone di una lista di controllo prestabilita per determinare se l’esaminato è maniaco, depresso, bipolare (significa che è sia maniaco che depresso), paranoico o schizofrenico. Una lista di controllo altro non è che un labirinto di domande che richiedono risposte collegate in modo causale. Se l’esaminato ha un quoziente intellettivo sufficientemente alto e in quel momento una discreta lucidità, sarà per lui facile, estremamente facile, ingannare l’esaminatore e farla franca. E’ come un colloquio di lavoro: il vostro aspetto, il vostro comportamento e le vostre risposte si possono adattare oppure no alle caselle del test. E, così come succede in un colloquio di lavoro, non importa quasi mai che voi siate o meno qualificati per quel lavoro. Non importa. Il segreto è comportarsi come se niente fosse. Come se non ci fosse nessun motivo al mondo per cui l’esaminato non potrebbe nel giro di qualche ore ritrovarsi per strada con una cartella clinica pulita. È’ un po’ come mentire. E’ l’esaminato che deve per primo credere alla sua bugia; se lui ci crede, allora ci crederanno anche gli altri.
L’esaminatore ideale ha i capelli tagliati in modo banale, magari con un maglione colore pastello e un orologio non troppo evidente al polso. Significa che mostra poca cura di sé, che non ha grandi pretese, ne nei suoi confronti, ne nei confronti del paziente. Non ama il suo lavoro e quindi sarà facile incontrare le sue scarse aspettative.. Ma se l’esaminatore esprime sé stesso, se rivela la propria identità e lo fa in modo aperto, allora l’esaminato ha un problema. In questo caso si ha a che fare con un uomo sicuro di sé e del lavoro che fa. Un uomo che non lascerà nulla al caso e che quindi andrà fino in fondo. In questo caso, è fondamentale partire col piede giusto, sicuri e lucidi fin dalle prime battute. Se l’esaminatore porta i capelli lunghi, collane, vestiti e sciarpe provenienti dai mercatini del terzo mondo, vuol dire che non si sente a suo agio a lavorare in quel posto, e che vorrebbe invece fare altro… magari il guaritore o il missionario. In questo caso siete salvi. Così come lo siete se indossa occhiali di marca e vestiti costosi; indicano che fa il suo lavoro senza entusiasmo e che forse pensa solo alla sceneggiatura.
Ciò che l’esaminatore indossa dice ciò che vuole mostrare, e ciò che mostra dice ciò che vuole nascondere.
Ne sono fortemente convinto.
Lo stesso vale per l’esaminato. È un gioco di ruolo. Dove la posta in palio è molto, molto alta.
Questo è quanto non insegnano alla facoltà di psicologia. Questo è quanto si impara osservando le persone. Provate a farlo per un tempo sufficientemente lungo. Così lungo che poi farete fatica ad immaginarvi le persone diverse da oggetti. Non sarà difficile. È quello che spesso facciamo. Trasformiamo le persone in oggetti e gli oggetti in persone. E un processo quasi continuo. Usare è la prima parola che mi viene in mente.
La combinazione più pericolosa, quella da cui stare in guardia, è giovane e annoiato, oppure giovane e permaloso. Si riconoscono alle feste e ai raduni sociali. Magari sono anche affascinanti e hanno un’automobile costosa.
Magari hanno il mondo ai loro piedi e ostentano una sicurezza maggiore di quella che dovrebbe avere. Sono quelli che parlano di sindromi, condizioni, devianze e disordini, e amano parlare, parlare, parlare. Parlano di sé e quando parlano di altri lo fanno per mettere in mostra la propria identità. E’ un po’ come quando vi trovate al bancone di un bar con un ubriaco. Vi verserà da bere come pretesto per riempire il proprio bicchiere. E’ una falsa generosità. Ricordo una frase… Chiediamo agli altri come è andato il loro fine settimana solo per raccontare il nostro. Beh, lo spirito è quello. Questi giovanotti si esprimono a mezze frasi, con il sorrisino di chi la sa lunga, osservano l’interlocutore che prova ad inserirsi nelle pause, e continuano… a parlare. Egocentrici?
Se durante un colloquio fate un’osservazione del tipo… “Capisce quello che voglio dire?”, vi risponderanno: “No, perché non me lo dice lei?”. E cercano una storia da raccontare. Non glielo insegnano a psicologia. Lo hanno nel sangue.
Niente spaventa un giovane esaminatore quando un paziente gli dice di avere solo qualche problema di infelicità. Usate spesso questa frase. Sono infelice perché… mi ha lasciato la fidanzata. Mi è morto il gatto. Ho perso il lavoro. Sapete cosa risponderà? “Fate più esercizio all’aria aperta. Andate in qualche club. Compratevi un altro gatto. Cercate un lavoro migliore”. Se gli dite che avete preso a calci un distributore automatico che vi ha mangiato le monete, vi diagnosticano una schizofrenia con disordine della personalità bipolare acuto o un complesso di Edipo. Non dite mai che avete dato sfogo alla vostra aggressività.
Queste sono i rischi che correte casomai vi imbattiate in una situazione come quella sopra descritta.
Perciò, dite loro che non dormite bene. Che pensate sempre ad un vecchio amore. Non dite che va tutto bene. State sempre sul banale e sperate che tutto vada per il meglio. E ditelo con la convinzione che sia vero. Ci cascheranno.
Se l’esaminatore è anziano, guardate se cerca di nascondere la propria età. È un sintomo di debolezza. E guardate se porta la fede. L’età e il matrimonio sono importanti. Passati i quaranta essere single li rode. C’è il caso che siano senza figli e che restino in questa condizione. È probabile che le risposte che date vadano a stuzzicare qualche vecchia ferita, nel qual caso vi ringrazieranno di avergliela riaperta mandandovi a fondo. Non avranno pace finché non vi vedranno soffrire. Guardate se si truccano troppo, se si tingono i capelli, se si pettinano in modo elaborato, se hanno la parrucca. Se la risposta è affermativa fate attenzione a non urtarli su questi punti. Gli occhiali vanno bene, gli occhiali scuri no. Nascondono le rughe, o semplicemente si nascondono. E’ probabile che siano a disagio e che l’esame sia più loro che vostro.
Non dimenticate mai che le risposte bianco o nero vengono filtrate attraverso le paturnie mattutine dell’esaminatore, il suo odio per la vita, per i genitori, per gli uomini o le donne, per la moglie che non ama, o per il marito che tradisce, per i figli che non crescono, per il grasso che aumenta. O tutto questo insieme. Quindi, attenzione a quando venite esaminati. La mattina va male. A meno che sia prima di pranzo. In questo caso va bene. Il pomeriggio è male. La sera è bene. Lunedì va molto male. Venerdì invece è un ottimo giorno. Dalle sue orecchie al suo taccuino, le vostre risposte sono filtrate dall’esperienza e dall’umore dell’esaminatore, dai suoi traumi infantile e dal bagaglio di rifiuti che ha ricevuto e che lo hanno spinto verso psicologia o psichiatria o…
Credo che sia abbastanza.
Ho già fatto abbastanza confusione.
Il problema è il momento in cui aprite la porta, tornate in strada e lasciate alle spalle l’ospedale. Significa che siete stati bravi. Davvero bravi. Magari fuori piove. Pioggia gelata. Magari è sera e c’è poca gente in giro. Il silenzio potrebbe essere la cosa più strana di tutte. La pioggia filtra attraverso i vostri vestiti e scivola giù per il collo. Osservate la pioggia che lustra i marciapiedi. E notate che tutto è desolato là fuori. Che non è quello che vi sareste aspettati. Desolato. E bagnato. E freddo.
E poi magari tornando verso casa vi ritrovate a fissare il vostro profilo nella vetrina di un negozio.
Vi fermate. La pioggia ancora cade, ma ormai non è più un problema.
Anche il vostro corpo vi guarda. Pallido e squadrato. E iniziate a odiarlo. Lo odiate perché è lui, perché è il vostro. Perché è lo stesso corpo che incontrate ogni notte quando vi togliete i vestiti. Lo odiate per la sua debolezza. Per essere così insignificante. Lo odiate perché ha bisogno di cose. Perché deve essere nutrito e vestito e mantenuto in modi che voi non potete e non volete controllare. Lo odiate perché è il vostro e non potete scappare da lui. Lo odiate perché sotto la pelle vedete le vostre ossa. Perché vedete quello che non vorreste vedere. Lo odiate perché è stupido e disobbediente. E in quel momento esatto lo odiate perché vi ha messo in imbarazzo.
Vi guardate nella vetrina e la pelle vi sembra verde. Le orbite degli occhi vi sembrano enormi, come se la faccia vi stesse affondando dentro il cranio.
Vi guardate i capelli. In certi punti sono incollati e sembrano unti. Vi guardate gli occhi. Mezzi chiusi per la stanchezza. Vi sentiti mostruosi: tristi, inutili e mostruosi. Magari vorreste piangere. Ma non lo fate. Non servirebbe. Cercate di immaginarvi da vecchi, cercate di immaginare se lo diventerete. Non riuscite a pensare a nulla di particolare da aspettarvi. Non riuscite a pensare a niente per cui non vi sentiate in colpa. E magari vi sentite in colpa proprio perché vi rendete conto che siete lì in piedi, nel bel mezzo di una strada, di fronte ad un negozio chiuso, a fissare le proprie ossa. Incrociate le braccia e guardate il vostro volto riflesso.
Vi prendete ancora qualche secondo per studiare il vostro viso. Un’osservazione diligente vi ha garantito tutto quello che avevate bisogno di sapere.
È in quel momento che provate una forma di dolore immediato. Una pura e onesta forma di dolore. È la sensazione giusta.
Adesso vi sentite meglio.
Ho solo più tempo del solito per dare sfogo all’immaginazione.
L’esaminatore dispone di una lista di controllo prestabilita per determinare se l’esaminato è maniaco, depresso, bipolare (significa che è sia maniaco che depresso), paranoico o schizofrenico. Una lista di controllo altro non è che un labirinto di domande che richiedono risposte collegate in modo causale. Se l’esaminato ha un quoziente intellettivo sufficientemente alto e in quel momento una discreta lucidità, sarà per lui facile, estremamente facile, ingannare l’esaminatore e farla franca. E’ come un colloquio di lavoro: il vostro aspetto, il vostro comportamento e le vostre risposte si possono adattare oppure no alle caselle del test. E, così come succede in un colloquio di lavoro, non importa quasi mai che voi siate o meno qualificati per quel lavoro. Non importa. Il segreto è comportarsi come se niente fosse. Come se non ci fosse nessun motivo al mondo per cui l’esaminato non potrebbe nel giro di qualche ore ritrovarsi per strada con una cartella clinica pulita. È’ un po’ come mentire. E’ l’esaminato che deve per primo credere alla sua bugia; se lui ci crede, allora ci crederanno anche gli altri.
L’esaminatore ideale ha i capelli tagliati in modo banale, magari con un maglione colore pastello e un orologio non troppo evidente al polso. Significa che mostra poca cura di sé, che non ha grandi pretese, ne nei suoi confronti, ne nei confronti del paziente. Non ama il suo lavoro e quindi sarà facile incontrare le sue scarse aspettative.. Ma se l’esaminatore esprime sé stesso, se rivela la propria identità e lo fa in modo aperto, allora l’esaminato ha un problema. In questo caso si ha a che fare con un uomo sicuro di sé e del lavoro che fa. Un uomo che non lascerà nulla al caso e che quindi andrà fino in fondo. In questo caso, è fondamentale partire col piede giusto, sicuri e lucidi fin dalle prime battute. Se l’esaminatore porta i capelli lunghi, collane, vestiti e sciarpe provenienti dai mercatini del terzo mondo, vuol dire che non si sente a suo agio a lavorare in quel posto, e che vorrebbe invece fare altro… magari il guaritore o il missionario. In questo caso siete salvi. Così come lo siete se indossa occhiali di marca e vestiti costosi; indicano che fa il suo lavoro senza entusiasmo e che forse pensa solo alla sceneggiatura.
Ciò che l’esaminatore indossa dice ciò che vuole mostrare, e ciò che mostra dice ciò che vuole nascondere.
Ne sono fortemente convinto.
Lo stesso vale per l’esaminato. È un gioco di ruolo. Dove la posta in palio è molto, molto alta.
Questo è quanto non insegnano alla facoltà di psicologia. Questo è quanto si impara osservando le persone. Provate a farlo per un tempo sufficientemente lungo. Così lungo che poi farete fatica ad immaginarvi le persone diverse da oggetti. Non sarà difficile. È quello che spesso facciamo. Trasformiamo le persone in oggetti e gli oggetti in persone. E un processo quasi continuo. Usare è la prima parola che mi viene in mente.
La combinazione più pericolosa, quella da cui stare in guardia, è giovane e annoiato, oppure giovane e permaloso. Si riconoscono alle feste e ai raduni sociali. Magari sono anche affascinanti e hanno un’automobile costosa.
Magari hanno il mondo ai loro piedi e ostentano una sicurezza maggiore di quella che dovrebbe avere. Sono quelli che parlano di sindromi, condizioni, devianze e disordini, e amano parlare, parlare, parlare. Parlano di sé e quando parlano di altri lo fanno per mettere in mostra la propria identità. E’ un po’ come quando vi trovate al bancone di un bar con un ubriaco. Vi verserà da bere come pretesto per riempire il proprio bicchiere. E’ una falsa generosità. Ricordo una frase… Chiediamo agli altri come è andato il loro fine settimana solo per raccontare il nostro. Beh, lo spirito è quello. Questi giovanotti si esprimono a mezze frasi, con il sorrisino di chi la sa lunga, osservano l’interlocutore che prova ad inserirsi nelle pause, e continuano… a parlare. Egocentrici?
Se durante un colloquio fate un’osservazione del tipo… “Capisce quello che voglio dire?”, vi risponderanno: “No, perché non me lo dice lei?”. E cercano una storia da raccontare. Non glielo insegnano a psicologia. Lo hanno nel sangue.
Niente spaventa un giovane esaminatore quando un paziente gli dice di avere solo qualche problema di infelicità. Usate spesso questa frase. Sono infelice perché… mi ha lasciato la fidanzata. Mi è morto il gatto. Ho perso il lavoro. Sapete cosa risponderà? “Fate più esercizio all’aria aperta. Andate in qualche club. Compratevi un altro gatto. Cercate un lavoro migliore”. Se gli dite che avete preso a calci un distributore automatico che vi ha mangiato le monete, vi diagnosticano una schizofrenia con disordine della personalità bipolare acuto o un complesso di Edipo. Non dite mai che avete dato sfogo alla vostra aggressività.
Queste sono i rischi che correte casomai vi imbattiate in una situazione come quella sopra descritta.
Perciò, dite loro che non dormite bene. Che pensate sempre ad un vecchio amore. Non dite che va tutto bene. State sempre sul banale e sperate che tutto vada per il meglio. E ditelo con la convinzione che sia vero. Ci cascheranno.
Se l’esaminatore è anziano, guardate se cerca di nascondere la propria età. È un sintomo di debolezza. E guardate se porta la fede. L’età e il matrimonio sono importanti. Passati i quaranta essere single li rode. C’è il caso che siano senza figli e che restino in questa condizione. È probabile che le risposte che date vadano a stuzzicare qualche vecchia ferita, nel qual caso vi ringrazieranno di avergliela riaperta mandandovi a fondo. Non avranno pace finché non vi vedranno soffrire. Guardate se si truccano troppo, se si tingono i capelli, se si pettinano in modo elaborato, se hanno la parrucca. Se la risposta è affermativa fate attenzione a non urtarli su questi punti. Gli occhiali vanno bene, gli occhiali scuri no. Nascondono le rughe, o semplicemente si nascondono. E’ probabile che siano a disagio e che l’esame sia più loro che vostro.
Non dimenticate mai che le risposte bianco o nero vengono filtrate attraverso le paturnie mattutine dell’esaminatore, il suo odio per la vita, per i genitori, per gli uomini o le donne, per la moglie che non ama, o per il marito che tradisce, per i figli che non crescono, per il grasso che aumenta. O tutto questo insieme. Quindi, attenzione a quando venite esaminati. La mattina va male. A meno che sia prima di pranzo. In questo caso va bene. Il pomeriggio è male. La sera è bene. Lunedì va molto male. Venerdì invece è un ottimo giorno. Dalle sue orecchie al suo taccuino, le vostre risposte sono filtrate dall’esperienza e dall’umore dell’esaminatore, dai suoi traumi infantile e dal bagaglio di rifiuti che ha ricevuto e che lo hanno spinto verso psicologia o psichiatria o…
Credo che sia abbastanza.
Ho già fatto abbastanza confusione.
Il problema è il momento in cui aprite la porta, tornate in strada e lasciate alle spalle l’ospedale. Significa che siete stati bravi. Davvero bravi. Magari fuori piove. Pioggia gelata. Magari è sera e c’è poca gente in giro. Il silenzio potrebbe essere la cosa più strana di tutte. La pioggia filtra attraverso i vostri vestiti e scivola giù per il collo. Osservate la pioggia che lustra i marciapiedi. E notate che tutto è desolato là fuori. Che non è quello che vi sareste aspettati. Desolato. E bagnato. E freddo.
E poi magari tornando verso casa vi ritrovate a fissare il vostro profilo nella vetrina di un negozio.
Vi fermate. La pioggia ancora cade, ma ormai non è più un problema.
Anche il vostro corpo vi guarda. Pallido e squadrato. E iniziate a odiarlo. Lo odiate perché è lui, perché è il vostro. Perché è lo stesso corpo che incontrate ogni notte quando vi togliete i vestiti. Lo odiate per la sua debolezza. Per essere così insignificante. Lo odiate perché ha bisogno di cose. Perché deve essere nutrito e vestito e mantenuto in modi che voi non potete e non volete controllare. Lo odiate perché è il vostro e non potete scappare da lui. Lo odiate perché sotto la pelle vedete le vostre ossa. Perché vedete quello che non vorreste vedere. Lo odiate perché è stupido e disobbediente. E in quel momento esatto lo odiate perché vi ha messo in imbarazzo.
Vi guardate nella vetrina e la pelle vi sembra verde. Le orbite degli occhi vi sembrano enormi, come se la faccia vi stesse affondando dentro il cranio.
Vi guardate i capelli. In certi punti sono incollati e sembrano unti. Vi guardate gli occhi. Mezzi chiusi per la stanchezza. Vi sentiti mostruosi: tristi, inutili e mostruosi. Magari vorreste piangere. Ma non lo fate. Non servirebbe. Cercate di immaginarvi da vecchi, cercate di immaginare se lo diventerete. Non riuscite a pensare a nulla di particolare da aspettarvi. Non riuscite a pensare a niente per cui non vi sentiate in colpa. E magari vi sentite in colpa proprio perché vi rendete conto che siete lì in piedi, nel bel mezzo di una strada, di fronte ad un negozio chiuso, a fissare le proprie ossa. Incrociate le braccia e guardate il vostro volto riflesso.
Vi prendete ancora qualche secondo per studiare il vostro viso. Un’osservazione diligente vi ha garantito tutto quello che avevate bisogno di sapere.
È in quel momento che provate una forma di dolore immediato. Una pura e onesta forma di dolore. È la sensazione giusta.
Adesso vi sentite meglio.
Ho solo più tempo del solito per dare sfogo all’immaginazione.
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