Tempo e Condivisione
Dovrei iniziare a scrivere qualcosa dei ragazzi selezionati a Brescia e delle prossime tappe dell’iniziativa stage-selezione, ma credo che ancora non sia il momento giusto. C’è sempre un tempo… il mio problema è che tendo spesso a procrastinare. Chi mi conosce lo sa bene.
Questa notte, poco prima di lasciarmi al sonno, riflettevo sul tempo.
Anticipo che faccio fatica, molta fatica a pensare al tempo futuro, in quanto tuttora (ma cambio spesso idea) lo ritengo territorio di melanconici profeti, di allegri ciarlatani e di cupi bigotti che promettono regni che non hanno diritto di promettere.
Credo invece nel sogno, anche se falso e ingannevole, credo che sia il sogno il nostro miglior strumento per dare un’occhiata al futuro. Non intendo il sogno onirico, ma il sogno quale ambizione, guida, punto di arrivo. Dovremmo sempre seguire i sogni. Se guardo il futuro vedo i miei sogni.
In realtà il tempo di cui parlavo era un altro. Erano altri.
Il tempo vissuto e poi quello rivissuto, ovvero quello stesso tempo vissuto cinque minuti, cinque anni, cinque secoli dopo. Gli eventi vissuti in questi due tempi ovviamente non coincidono mai, eppure hanno molto in comune. A tutti credo capiti di riflettere, di ripensare, di rivivere emozioni, storie, racconti che hanno in qualche modo lasciato il segno. E ogni volta che ci ripensiamo qualcosa di quel ricordo è cambiato. Non è più lo stesso ricordo. A volte è qualcosa di più, altre volte qualcosa di meno.
Ogni cosa in effetti sta negli occhi di chi la guarda; chi con occhi comici, chi invece con aria melanconica, chi addirittura con un taglio tragico, chi, infine, con il sorriso. E tutto può succedere in tempi diversi.
Per intenderci. Tempo fa, molto tempo fa, ancora studiavo in università, frequentavo un locale. Le solite facce. Noi clienti abituali non ci piacevamo molto. Solo tempo dopo ho capito che rappresentavamo, gli uni agli occhi degli altri, il tempo sprecato e i sogni paralizzati.. Era anche per questo che difficilmente riuscivamo a tenere a freno la rabbia e gli insulti e, dopo un po’ di tempo, a stento riuscivamo a parlare con qualcuno. Incapaci di comunicare ce ne stavamo lì, chi in piedi al bancone e chi seduto ai tavoli, prigionieri della propria visione del futuro e poco disposti a rispettare i sogni degli altri.
Questa è la versione tragica del tempo rivissuto.
Il problema di questa situazione è che la differenza dell’immagine che uno ha di sé e degli altri e l’immagine reale è qualcosa che potrebbe ammazzare chiunque.
Spero che nel momento in cui ve ne renderete conto, c’è sempre quel momento, ve lo assicuro, siate abbastanza forti da non lasciarvi travolgere.
In caso contrario, capirete che piangere non sarà altro che l’ennesimo tentativo di superare un momentaccio, che qualsiasi emozione sarà solo un modo stupido e inutile di negare quanto vissuto, che qualsiasi azione sarà solo l’inizio di un sogno nato male. E farete fatica, farete fatica a ricominciare.
Questa è la versione tragicomica del tempo rivissuto.
La versione che preferisco tuttavia è un’altra. Quello che voglio dire è che per tutti esiste un momento in cui ci si rende conto che quella che stiamo vivendo non sarà la migliore delle vite possibili, ma certo non è male. Anzi, è perfetta, o quasi. Ed è in questo preciso istante che tutto prende una piega diversa. Le aspettative non pesano più come un macigno e in ogni cosa si può scorgere un lato positivo e romantico.
Alcune volte il cambiamento viene da sé, altre volte viene invece promosso da qualcosa o da qualcuno. Non esistono calcoli e non esistono piani. Succede e basta.
A me è successo.
Questa è la versione col sorriso.
Eppure, nemmeno questo è sufficiente…farò due esempi. Vi siete mai sorpresi a ridere da soli? Ci si sente un poco stupidi, si percepisce che c’è qualcosa che non va. Oppure, pensate a un bambino, un bambino molto piccolo. Pensate che questo bambino stia camminando barcollando, sapete, quei bambini con le gambe a salsicciotto che da poco hanno messo insieme due passi. Pensate a questo bambino e a un tavolo, abbastanza basso da sbatterci. Pensate a questo bambino che con la sua testolina colpisce lo spigolo di quel tavolo e cade giù. A terra. E fa male, cavolo se fa male. Però non c’è niente di tragico finchè non arrivano mamma e papà, preoccupati e agitati. Pronti a soccorrere il piccolo. È solo allora che il bambino piange.
Spero mi abbiate seguito. Due esempi contrapposti per capire che senza condivisione nulla ha un senso. Che senza un pubblico nessuna emozione è reale, nessuna emozione può definirsi tale se vissuta da soli. E al riguardo credo di avere una lunga e valida esperienza. Chi mi conosce sa di cosa parlo.
Quello che voglio dire è che la chiave della felicità è in quanta condivisione riesci a creare. Provate a passare un po’ di tempo da soli, abbastanza da sentirvi soli e capirete che non c’è ragione di fare nulla se siete soli. Che ogni emozione, che ogni azione, che ogni gesto è solo l’inizio di un altro travaglio. La vita senza condivisione può essere esattamente questo; capisci che se sei solo non ha senso esistere e che se fai qualsiasi cosa, ma questa non viene notata o partecipata allora non sei niente, sei quell’albero che cade nella foresta e di cui nessuno sente la mancanza, che nessuno sente e vede cadere. E tutto prende un’altra piega.
Per oggi credo sia abbastanza. Prometto che lascerò spazio ai ragazzi della Piccola Compagnia. Stanno lavorando molto e bene per preparare un’importante esibizione. Domani inizierò a farveli conoscere, meritano tutta la vostra attenzione.
Prima o poi anch’io dovrò iniziare a fare sul serio. Serve solo un po’ di tempo e forse anche un piccolo aiuto. Ma non ci sono lontano.
Alla prossima.
Questa notte, poco prima di lasciarmi al sonno, riflettevo sul tempo.
Anticipo che faccio fatica, molta fatica a pensare al tempo futuro, in quanto tuttora (ma cambio spesso idea) lo ritengo territorio di melanconici profeti, di allegri ciarlatani e di cupi bigotti che promettono regni che non hanno diritto di promettere.
Credo invece nel sogno, anche se falso e ingannevole, credo che sia il sogno il nostro miglior strumento per dare un’occhiata al futuro. Non intendo il sogno onirico, ma il sogno quale ambizione, guida, punto di arrivo. Dovremmo sempre seguire i sogni. Se guardo il futuro vedo i miei sogni.
In realtà il tempo di cui parlavo era un altro. Erano altri.
Il tempo vissuto e poi quello rivissuto, ovvero quello stesso tempo vissuto cinque minuti, cinque anni, cinque secoli dopo. Gli eventi vissuti in questi due tempi ovviamente non coincidono mai, eppure hanno molto in comune. A tutti credo capiti di riflettere, di ripensare, di rivivere emozioni, storie, racconti che hanno in qualche modo lasciato il segno. E ogni volta che ci ripensiamo qualcosa di quel ricordo è cambiato. Non è più lo stesso ricordo. A volte è qualcosa di più, altre volte qualcosa di meno.
Ogni cosa in effetti sta negli occhi di chi la guarda; chi con occhi comici, chi invece con aria melanconica, chi addirittura con un taglio tragico, chi, infine, con il sorriso. E tutto può succedere in tempi diversi.
Per intenderci. Tempo fa, molto tempo fa, ancora studiavo in università, frequentavo un locale. Le solite facce. Noi clienti abituali non ci piacevamo molto. Solo tempo dopo ho capito che rappresentavamo, gli uni agli occhi degli altri, il tempo sprecato e i sogni paralizzati.. Era anche per questo che difficilmente riuscivamo a tenere a freno la rabbia e gli insulti e, dopo un po’ di tempo, a stento riuscivamo a parlare con qualcuno. Incapaci di comunicare ce ne stavamo lì, chi in piedi al bancone e chi seduto ai tavoli, prigionieri della propria visione del futuro e poco disposti a rispettare i sogni degli altri.
Questa è la versione tragica del tempo rivissuto.
Il problema di questa situazione è che la differenza dell’immagine che uno ha di sé e degli altri e l’immagine reale è qualcosa che potrebbe ammazzare chiunque.
Spero che nel momento in cui ve ne renderete conto, c’è sempre quel momento, ve lo assicuro, siate abbastanza forti da non lasciarvi travolgere.
In caso contrario, capirete che piangere non sarà altro che l’ennesimo tentativo di superare un momentaccio, che qualsiasi emozione sarà solo un modo stupido e inutile di negare quanto vissuto, che qualsiasi azione sarà solo l’inizio di un sogno nato male. E farete fatica, farete fatica a ricominciare.
Questa è la versione tragicomica del tempo rivissuto.
La versione che preferisco tuttavia è un’altra. Quello che voglio dire è che per tutti esiste un momento in cui ci si rende conto che quella che stiamo vivendo non sarà la migliore delle vite possibili, ma certo non è male. Anzi, è perfetta, o quasi. Ed è in questo preciso istante che tutto prende una piega diversa. Le aspettative non pesano più come un macigno e in ogni cosa si può scorgere un lato positivo e romantico.
Alcune volte il cambiamento viene da sé, altre volte viene invece promosso da qualcosa o da qualcuno. Non esistono calcoli e non esistono piani. Succede e basta.
A me è successo.
Questa è la versione col sorriso.
Eppure, nemmeno questo è sufficiente…farò due esempi. Vi siete mai sorpresi a ridere da soli? Ci si sente un poco stupidi, si percepisce che c’è qualcosa che non va. Oppure, pensate a un bambino, un bambino molto piccolo. Pensate che questo bambino stia camminando barcollando, sapete, quei bambini con le gambe a salsicciotto che da poco hanno messo insieme due passi. Pensate a questo bambino e a un tavolo, abbastanza basso da sbatterci. Pensate a questo bambino che con la sua testolina colpisce lo spigolo di quel tavolo e cade giù. A terra. E fa male, cavolo se fa male. Però non c’è niente di tragico finchè non arrivano mamma e papà, preoccupati e agitati. Pronti a soccorrere il piccolo. È solo allora che il bambino piange.
Spero mi abbiate seguito. Due esempi contrapposti per capire che senza condivisione nulla ha un senso. Che senza un pubblico nessuna emozione è reale, nessuna emozione può definirsi tale se vissuta da soli. E al riguardo credo di avere una lunga e valida esperienza. Chi mi conosce sa di cosa parlo.
Quello che voglio dire è che la chiave della felicità è in quanta condivisione riesci a creare. Provate a passare un po’ di tempo da soli, abbastanza da sentirvi soli e capirete che non c’è ragione di fare nulla se siete soli. Che ogni emozione, che ogni azione, che ogni gesto è solo l’inizio di un altro travaglio. La vita senza condivisione può essere esattamente questo; capisci che se sei solo non ha senso esistere e che se fai qualsiasi cosa, ma questa non viene notata o partecipata allora non sei niente, sei quell’albero che cade nella foresta e di cui nessuno sente la mancanza, che nessuno sente e vede cadere. E tutto prende un’altra piega.
Per oggi credo sia abbastanza. Prometto che lascerò spazio ai ragazzi della Piccola Compagnia. Stanno lavorando molto e bene per preparare un’importante esibizione. Domani inizierò a farveli conoscere, meritano tutta la vostra attenzione.
Prima o poi anch’io dovrò iniziare a fare sul serio. Serve solo un po’ di tempo e forse anche un piccolo aiuto. Ma non ci sono lontano.
Alla prossima.
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