Ieri Sara mi ha scritto per chiedermi di raccontare un aneddoto su di lei. Lo faccio perché so che qualsiasi cosa io scriva lei non se la prende e se esagero è solo per colpa della mia fantasia. Sono convinto si farà due risate. Come penso le farete voi.
Queste sono le persone che mi giravano attorno qualche anno fa.
Anno 2002. Primavera.
Lezione di neuropatologia del sistema nervoso.
La prima parola che mi viene in mente è
nausea.
Sara dice che è stanca e vuole uscire dall’aula.
L’accompagno volentieri. Infondo, non avevo intrapreso psicologia per seguire le lezioni di neuropatologia.
Entriamo in un baretto. Non ricordo il nome, è da troppo tempo che non vado a Parma. In ogni caso è un piccolo bar vicino alle aule di San Francesco.
Uno dei motivi per cui Sara mi stava simpatica è che era una che si concedeva senza problemi. E non se ne vergognava.
Che fosse mezza mattina, pomeriggio o tarda sera a Lei non importava.
Da quando il primo sorso di Moscato (diceva che il Moscato la rendeva sessualmente appetibile) bagnava le sue labbra al momento in cui si toglieva le mutande in genere passava un tempo brevissimo. Questo lo so perché me lo raccontava lei stessa. Facevamo una splendida accoppiata, io e Sara. Per motivi come è ovvio contrapposti.
Una volta mi raccontò di essersi iscritta a Medicina solamente perché riteneva fosse un buon campo di reclutamento e, quando scoppiai a ridere pensando a Lei impegnata a sedurre giovani aspiranti medici, mi disse:
Guarda che è una cosa seria.
Aveva un’espressione estremamente decisa.
Dopo nemmeno un anno decise che gli uomini di quella facoltà non meritavano la sua attenzione. Passò quindi a Psicologia.
Eravamo in quel bar ormai da diversi minuti, Sara aveva già bevuto col solito piglio un paio di bicchieri di Moscato, quando dalla porta entrò un uomo. Un bel viso, ma giuro che non arrivava al metro e sessanta. Io non lo conoscevo, ma Lei sì. Non voleva parlargli, anzi, fece addirittura finta di non conoscerlo. Ovviamente lui l’aveva riconosciuta.
Ordinò un caffé e si avvicinò al nostro tavolo. Lui la salutò e Lei, con aria sorpresa disse:
Prego?
Prego??!!
Ci conosciamo?L’espressione del viso di lui era di smarrimento, Sara sbiancò e io arrossii.
Probabilmente mi hai confuso con un’altra persona.
Lui ci fissava sbalordito. Io stavo per scoppiare a ridere.
Davvero?Continuarono così, con lei che si comportava da psicopatica. Ogni volta che lui la guardava lei faceva la faccia di quella che non capisce come mai la guardano. Continuò la sceneggiata fino a quando lui decise che era inutile andare oltre.
Si sedette vicino al bancone con aria incredula.
Fammi indovinare: siete stati a letto assieme.
Beh, una volta. Ci siamo visti solo una volta. All’Astrolabio (nds - è una discoteca)
E ora?E ora ho fatto una figura di merda. Ma ero ubriaca. E lui pure. Probabilmente si convincerà che ero solo una che assomigliava a quella che si era portato a casa.
L’uomo finì il caffé, pagò il conto e se ne andò scuotendo la testa e borbottando qualche parola.
Sara tirò un sospiro di sollievo.
Che dici?Non dissi niente. Sorrisi e basta. In ogni caso nella settimana successiva ogni volta che incontravamo qualcuno sotto il metro e sessanta le lanciavo pungenti frecciatine.
Come eri caduta in basso… letteralmente.
E ridevamo.
Quella settimana Sara concluse che i nani, dal metro e sessanta in giù, vanno benissimo alle feste, nel periodo natalizio o nei giardini di casa, ma la cosa doveva finire lì. Assolutamente.