18.5.07

Compagnia o Compagna... purchè sia sempre piccola

Avevo 21 anni e non avevo nessuna ambizione. Molti ne hanno alla mia età. E mi facevano ridere. Non avevo amici, preferivo restare solo. Quelli della mia età mi annoiavano. La maggior parte della gente, a dire il vero, mi annoiava. Non sapevano niente di quello che sapevo io. E io non sapevo niente di quello che sapevano loro. Erano stati i miei a spingermi a studiare, a iscrivermi in università. Avevo provato ad assistere a qualche lezione, ma non facevano per me; non sopportavo di dover stare in mezzo agli altri studenti. Eppure sono arrivato fino in fondo. Studiare per? Per trovare un lavoro? Un lavoro ce l'avevo e ce l'ho anche oggi. Preferisco quei lavori che lasciano molto tempo. Tempo per passeggiare, per pensare, per me... in fondo sono un grande egoista.
I soldi mi piacciono, ma non penso proprio si debbano fare grandi sforzi nella vita per ottenerli. Se arrivano bene, altrimenti... pazienza. Ho una casa e mangio sempre qualcosa. Del resto non so che farmene. Ho il tempo. Cosa altro mi serve?

16.5.07

Ogni cosa ritorna... si chiama ciclo?

Mi ritrovo tra le mani una lettera.

L'ha scritta una certa Teresa. Non la conosco.

Mi confido con mia madre.
"Mamma, mi sento triste, sono sola e grassa. Troppo grassa per avere amici."
"Hai visto che il figlio di Brooke non di Ridge, ma del capitano Pain?".
Rimango allibita dall'egoismo e dalla crudeltà di questa donna che mi è madre.
Fuggo in camera mia a scrivere una lettera a chi mi ama davvero.
Non te l'ho detto, ma vorrei diventare mamma al più presto. Per prima vorrei una femmina, che chiamerei Alice.

Cara Alice,
cerca di arrivare presto, che qui le cose non vanno bene.
Appena arrivi ti metto in una culla di pizzo con le api girevoli sopra la testa.
Col tempo ti farò le codine, ti farò crescere i capelli così nessuno, amore mio, ti potrà scambiare per un maschio ( cosa che facevano con me, perchè mia madre, tua nonna, con la scusa dei pidocchi mi rasava la testa ). Ti porterò a danza per diventare una grande ballerina, ciò che quella donna crudele impediva di essere a me. Ti vestirò da principessa, collegiale, contadinella e cavallerizza (a seconda delle occasioni), mai da maschio, come faceva tua nonna che per risparmiare mi vestiva con quanto restava di buono del guardaroba di mio fratello, tuo zio.
Ti farò dormire nel lettone con me, abbracciata alla tua mamma.
Alcune volte, questo te lo devo dire, mi dimenticherò di venire a prenderti a scuola.
Altre volte mi guarderò allo specchio e quello che vedrò non mi piacerà.
Mi sentirò vecchia.
Allora farò finta che tu non sia mai nata.

La tua mamma Teresa.

Ancora devo capire perchè hai voluto mandarmela.

15.5.07

Prove

Vorrei solo riuscire a costruire qualcosa di concreto.

Questa mattina pensavo ad una lettera...

Mi chiedevo perchè gli adulti si concentrano sul presente volgendo lo sguardo al passato, mentre i bambini vivono il presente fantasticando sul futuro.

Lo chiamano gap generazionale...

14.5.07

Ripartenze

A volte ripartire è un'esigenza dalla quale non si può scappare.
A presto.

26.2.07

GIU' IL SIPARIO.

HO PERSO LE PAROLE.
CHIEDO SCUSA.

18.2.07

DAL GIORNALE DI BRESCIA - Cultura e Spettacoli

SUCCESSO AL PALABRESCIA PER LO SPETTACOLO DELLA COMPAGNIA DI ROBERTO HERRERA

Tango argentino in chiave underground con premessa hip hop

La Compañia argentina de tango al PalabresciaC’è stato un tempo in cui il tango era grida e passi di gioia. Poi è diventato intenso, drammatico. In entrambi i casi, non ha mai smesso di danzare la bramosia di una nuova libertà, la lotta per superare l’inerzia del presente. L’uno e l’altro tango sono presenti nello spettacolo della Compañia Argentina de Tango Roberto Herrera, che ieri ha suggestionato un Palabrescia di via San Zeno, abbastanza affollato.Suggestionato, ma anche confuso: il doppio registro del tango appare senza soluzione di continuità, più come singole abili esibizioni, spezzate (o legate?) dalle interpretazioni dell’Hyperion Tango Quintet. Allegria e pathos si alternano, bilanciandosi, ma mescolando le carte di una storia che affonda le sue radici in quelle degli emigranti italiani, francesi, ungheresi che, nella seconda metà dell’Ottocento, seguirono un sogno di fortuna fino ai porti sudamericani. Come ogni storia di emigrazione viene disillusa. E il tango nasce come grido di disperazione e speranza.Roberto Herrera con Tamara Bisceglia e i suoi (Estanislao Herrera, Veronica Vidan, Oscar Mandagaran, Carla Georgina Ciccarino, Antonio Campostrini y Alejandra Viña, Marcela Guevara, Stefano Giudice) non indossano costumi da sala, ma jeans e maglie: fanno sfide su un tango che si sta ancora formando, prendendo a prestito dal tip tap, dalle figure dei balli rinascimentali, dall’habanera cubana e dalla milonga suonata da pianoforte, chitarra e flauto.I primi costumi arrivano nella clandestinità di night fumosi solo immaginati, nella scena fissa e nera del palco, quando il tango diventa espressione underground, attirando la disapprovazione delle autorità. Il tango sensuale e sanguigno, accorato dai suoni profondi del bandoneòn (strumento tipico del genere, qui suonato da Camilo Ferrero), quello sì che ha gli abiti della Parigi degli anni Trenta, in cui impazzava la moda dei Tango Cafè.Herrera senior sfoggia una tecnica impeccabile, ostacolata da una forma appesantita, e ai pezzi solisti con la splendida Tamara - tra cui spiccano la carnevalesca «Cumparsita» di Gerardo Matos Rodriguez e «Libertango» di Piazzolla -, alterna i duetti con la coppia Herrera junior-Vidan, in una sorta di passaggio di testimone, che trova i giovani affiatati ed espressivi come non sempre riescono ad essere le coppie veterane.
Ma ieri il tango è stato introdotto da un’altra danza nata per strada, l’hip hop, interpretata dai ragazzi bresciani della Piccola Compagnia, su coreografia di Simona Bazzoli.Forte del successo delle scorse settimane, il Palabrescia ha deciso di riproporre, in apertura di spettacolo, esibizioni di nostri concittadini. Stavolta portando anche la performance complessa e delicata, che non ha nulla di amatoriale, di Ester Marinoni e Fabio Crestale di Doppio Movimento, in «Terza persona singolare», pluripremiata coreografia di Valentina Benedetti, primo premio alla «Settimana Internazionale della Danza» di Spoleto.
Ilaria Dondi

16.2.07

Nani e Moscato

Ieri Sara mi ha scritto per chiedermi di raccontare un aneddoto su di lei. Lo faccio perché so che qualsiasi cosa io scriva lei non se la prende e se esagero è solo per colpa della mia fantasia. Sono convinto si farà due risate. Come penso le farete voi.

Queste sono le persone che mi giravano attorno qualche anno fa.

Anno 2002. Primavera.

Lezione di neuropatologia del sistema nervoso.
La prima parola che mi viene in mente è nausea.
Sara dice che è stanca e vuole uscire dall’aula.
L’accompagno volentieri. Infondo, non avevo intrapreso psicologia per seguire le lezioni di neuropatologia.
Entriamo in un baretto. Non ricordo il nome, è da troppo tempo che non vado a Parma. In ogni caso è un piccolo bar vicino alle aule di San Francesco.
Uno dei motivi per cui Sara mi stava simpatica è che era una che si concedeva senza problemi. E non se ne vergognava.
Che fosse mezza mattina, pomeriggio o tarda sera a Lei non importava.
Da quando il primo sorso di Moscato (diceva che il Moscato la rendeva sessualmente appetibile) bagnava le sue labbra al momento in cui si toglieva le mutande in genere passava un tempo brevissimo. Questo lo so perché me lo raccontava lei stessa. Facevamo una splendida accoppiata, io e Sara. Per motivi come è ovvio contrapposti.
Una volta mi raccontò di essersi iscritta a Medicina solamente perché riteneva fosse un buon campo di reclutamento e, quando scoppiai a ridere pensando a Lei impegnata a sedurre giovani aspiranti medici, mi disse: Guarda che è una cosa seria.
Aveva un’espressione estremamente decisa.
Dopo nemmeno un anno decise che gli uomini di quella facoltà non meritavano la sua attenzione. Passò quindi a Psicologia.
Eravamo in quel bar ormai da diversi minuti, Sara aveva già bevuto col solito piglio un paio di bicchieri di Moscato, quando dalla porta entrò un uomo. Un bel viso, ma giuro che non arrivava al metro e sessanta. Io non lo conoscevo, ma Lei sì. Non voleva parlargli, anzi, fece addirittura finta di non conoscerlo. Ovviamente lui l’aveva riconosciuta.
Ordinò un caffé e si avvicinò al nostro tavolo. Lui la salutò e Lei, con aria sorpresa disse: Prego?
Prego??!!
Ci conosciamo?
L’espressione del viso di lui era di smarrimento, Sara sbiancò e io arrossii.
Probabilmente mi hai confuso con un’altra persona.
Lui ci fissava sbalordito. Io stavo per scoppiare a ridere.
Davvero?
Continuarono così, con lei che si comportava da psicopatica. Ogni volta che lui la guardava lei faceva la faccia di quella che non capisce come mai la guardano. Continuò la sceneggiata fino a quando lui decise che era inutile andare oltre.
Si sedette vicino al bancone con aria incredula.
Fammi indovinare: siete stati a letto assieme.
Beh, una volta. Ci siamo visti solo una volta. All’Astrolabio
(nds - è una discoteca)
E ora?
E ora ho fatto una figura di merda. Ma ero ubriaca. E lui pure. Probabilmente si convincerà che ero solo una che assomigliava a quella che si era portato a casa.
L’uomo finì il caffé, pagò il conto e se ne andò scuotendo la testa e borbottando qualche parola.
Sara tirò un sospiro di sollievo.
Che dici?
Non dissi niente. Sorrisi e basta. In ogni caso nella settimana successiva ogni volta che incontravamo qualcuno sotto il metro e sessanta le lanciavo pungenti frecciatine.
Come eri caduta in basso… letteralmente.
E ridevamo.
Quella settimana Sara concluse che i nani, dal metro e sessanta in giù, vanno benissimo alle feste, nel periodo natalizio o nei giardini di casa, ma la cosa doveva finire lì. Assolutamente.